Tibet - Potala e Barkhor a Lhasa - racconto e immagini -




Una passeggiata serale mi porta verso il Potala, il simbolo spirituale del Tibet, tra strade esageratamente illuminate con luci al neon appese dappertutto, in uno stile che non richiama certo la sobrietà buddista tibetana, ma la cineseria più commerciale. Senza contare le miriadi di lampade rosse che solcano i lunghi viali di Lhasa e le bandiere rosse svettanti sopra i tetti delle case che ti fanno capire chi governa il paese. 


Eccola la grande fortezza illuminata a giorno da una moltitudine di luci bianche sembra un castello di un qualche paese incantato, bellissimo e tristissimo. Il Potala prende il nome dal Monte Potala, la dimora di Avalokitesvara il bodhisattva della grande compassione, è affacciato sulla grande piazza allestita con tanto di fontana a giochi d'acqua colorati, difronte al palazzo si erge come uno sfregio una stele in memoria della conquista del Tibet, mentre un mega cartellone luminoso con la faccia nel suo più bel sorriso il presidente cinese Xi Jinping rischiara la piazza da un lato e dal lato opposto un altro grandissimo tabellone luminoso con i volti di Mao Zedong e altri tre volti di 
leader cinesi che hanno reso grande la Cina. 


Come scrive Yu Hua nel suo "La Cina in dieci parole", dietro al miracolo economico c'è la spinta di due mani potenti che si chiamano rivoluzione, vale a dire che nel miracolo economico sopravvivono sia il movimento rivoluzionario del Grande balzo in avanti sia la violenza rivoluzionaria  della Rivoluzione culturale. Perché i cinesi ne hanno fatto del Potala un investimento turistico, sembra siano circa 6000 le visite giornaliere autorizzate, quasi esclusivamente turismo cinese. Un'ora di tempo per attraversare il palazzo, questo ci è stato concesso. Seguendo una lunga fila di turisti in coda pigiati l'uno su l'altro ho attraversato il sacro palazzo senza vedere nulla, confusa tra miglia di smartphone sollevati a braccia tese immortalare luoghi sacri e le molte raffigurazioni del Buddha.

Una sacra delusione e una gran tristezza non aver potuto nemmeno respirare un pò di quell'energia benedetta che si è nutrita dei Dalai Lama succedutisi nel corso dei secoli prima dell'occupazione cinese.
La lettura del libro di Yu Hua ha aperto la mia comprensione sul pensiero rivoluzionario che sta accompagnando la Cina da più di cinquant'anni e posso in parte intuire cosa devono aver subito i tibetani durante i primi decenni di occupazione cinese. 

Yu Hua scrive: i corsi e i ricorsi della storia mi fanno venire in mente le parole di Mao Zedong sulla sua interpretazione del termine rivoluzione universalmente apprezzata, parole che ognuno di noi era in grado di sciorinare ai tempi della Rivoluzione culturale: " La rivoluzione non è un pranzo di gala, non è un'opera letteraria, un disegno, un ricamo, non la si può fare con altrettanta eleganza, tranquillità e delicatezza, o con altrettanta dolcezza, gentilezza, cortesia, riguardo e magnanimità. La rivoluzione è un'insurrezione, un atto di violenza con il quale una classe ne rovescia un'altra".

Altro potente luogo spirituale del Tibet è rappresentato dal Barkhor, il circuito di pellegrinaggio nel cuore della città vecchia di Lhasa sviluppato intorno il Tempio di Jokhang. Lungo il percorso molti pellegrini provenienti da ogni parte del Tibet si prostrano completamente a terra ad ogni passo. In passato questo circuito di preghiera era considerato come la via santa dai tibetani. Passeggiare nel Barkhor è molto suggestivo anche perché questa area è popolata da tibetani nei loro abiti tradizionali e molti negozi della zona vendono mercanzie autoctone e oggetti spirituali. Le guardie cinesi gestiscono gli ingressi alla zona  sacra con passaggi obbligati a mostrare permessi e documenti e corsie di metal detector dove far scorrere zaini e borse.
Intorno la cattedrale tutti i pellegrini camminano in senso orario a passo spedito facendo scorrere la mala tra le dita che da il ritmo ai mantra di preghiera. L'energia di questo luogo a 3600 metri sotto un cielo vasto e cangiante è qualcosa di meraviglioso e permeante. 
I monasteri di Lhasa sono stati in gran parte recuperati dopo gli scempi della rivoluzione culturale perpetrata dalla violenta e repressiva invasione cinese e ora si presentano ben conservati. Si racconta che i soldati cinesi usassero le pietre sacre con inciso i mantra di preghiera come latrine e costringessero i tibetani a camminare sopra gli affreschi raffiguranti il Buddha  gettati a terra. Scempi violenti e psicologicamente devastanti per un popolo devoto e pacifico quale è il popolo tibetano. Il risultato di ripristino che ho potuto ammirare nei monasteri mi racconta di gente tenace e di grande volontà. All'interno dei templi i monaci producono un ripetersi incessante di gestualità diverse recitando per ore i mantra di preghiera, le sale sono soffusamente illuminate dal fuoco di mille stoppini accesi in parte affogati dentro pentole di rame colme di burro di yak che esalano un odore intenso e dolciastro.




"All'alba e al tramonto di notte e durante il giorno possano i Tre Gioielli 
concederci le loro benedizioni, aiutarci ad ottenere tutte le realizzazioni e a cospargere 
il sentiero della nostra vita con molti segni di buon auspicio."
 Recita così una delle belle preghiere buddiste.



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