Tibet - Everest - Qomolangma - La Grande Madre (racconto e immagini)


         Everest - Qomolangma - La Grande Madre

Siamo partiti di buon ora da Old Tingri  per raggiungere Rongbuk e il Campo Base dell'Everest,  viaggiando su strade deserte disegnate su di un ampio altopiano a 4500 metri d'altezza. 
La Friendship Hightway o Autostrada dell'Amicizia è uno dei grandi assi stradali che superano l'Himalaya, lunga 920 km, collega Lhasa la capitale del Tibet e Kathmandu, la capitale del Nepal. Questa è la nostra via che ci sta conducendo lungo un territorio sorprendentemente mutevole, imponente, struggente da tanta bellezza. La fortuna è dalla nostra. 

Da quando abbiamo lasciato Lhasa sotto una pioggia torrenziale terminata dopo un paio d'ore in un doppio arcobaleno, da allora il bel tempo ci accompagna ovunque ci dirigiamo. Attraversiamo villaggi rurali sparsi su pianori che sembrano infiniti, distese a perdita d'occhio di campi coltivati ad orzo ormai maturo, molti i braccianti occupati nella mietitura ricoprono i campi di covoni sotto un cielo blu e una luce abbacinante.

Lungo il tragitto sostiamo in alcune città storiche come Gyantze con il suo grande Stupa e Shygatse con la magnifica sede del Panchen Lama, la città monastica di Tashilunpo, passando per il lago sacro Yamdrok Tso.

Il paesaggio mi ammalia e non riesco che a dirmi quanto sia meraviglioso. Per un lungo tratto di strada branchi di asini selvatici (kiang) sembrano accompagnarci correndo sulle infinite distese erbose ai lati della strada. Si precorrono manciate di kilometri senza vedere altri veicoli né esseri umani. Quando si presenta occasione di un possibile incontro con qualche pastore al pascolo col gregge di pecore e capre sostiamo a lato della carreggiata. 

Ci avviciniamo a passi lievi e col sorriso nel cuore. I pastori tibetani sono curiosi e disponibili all'inconsueto incontro e noi siamo facilitati dalla nostra guida che parla la loro lingua. E' interessante scoprire qualcosa di più della loro vita nomade.

Saliamo di quota per raggiungere e valicare il passo Gyatso a 5.240 metri dove sostiamo per un pò ad osservare tutta la catena dell'Himalaya con le sue vette altissime che toccano il cielo, la più alta e più imponente è il Mt. Qomolangma o Everest come è comunemente chiamato in memoria di Sir George Everest, geografo e cartografo britannico, che per alcuni anni fu il topografo generale dell'India. 

Sul piazzale affacciato alle maestose vette mi sorprende un piccolo gruppo di autoctoni, stanziati lì con la loro oggettistica di collane pendenti e bracciali di meravigliosi turchesi, coralli, ambre e alcuni bellissimi fossili, mentre danzano al ritmo di una musica etnica che una radio a pile diffonde. Il ritmo è allegro tanto che mi lascio coinvolgere dal loro invito unendomi ai loro passi per celebrare la gioia che mi vibra dentro in un momento pieno di presenza e immensità che sa di eterno in questo luogo a due passi dalle stelle. 

Arriviamo a Rongpuk e lasciati i bagagli nell'unica quanto essenziale e rustica guest house, raggiungiamo col van il Campo Base. Qomolangma la Grande Madre è lì, di fronte a noi nella sua imponente magnificenza. Tante tende tibetane sistemate l'una vicino l'altra in semicerchio occupano un grande spazio proprio ai pedi della grande montagna. Ogni tenda è organizzata per ospitare più persone in una soluzione di condivisione. Nel centro della tenda una stufa è accesa, alimentata dallo sterco secco e inodore di yak, con grosse pentole fumanti sopra. 

La tenda n. 33 ci invita a sostare per una zuppa di carne e nuddle che sarà buonissima e riscaldante. E' bella la tenda tibetana, coloratissima e molto accogliente come la giovane ospite, sa di casa. Più tardi insieme ai due compagni di viaggio ci incamminiamo lungo la pista che sale per un chilometro verso l'Everest, oltre il quale non si può procedere. 

Solo il vento tra sibili fischi fruscii sferzate e carezze rompe il silenzio profondo di questo luogo. Il rudere dell'antico Monastero di Rongbuk si staglia alla nostra sinistra; incuriositi prendiamo la scalinata che sale ai resti del Tempio. Il respiro è corto ma percepisco una palpitante, vibrante energia che mi spinge a salire. 

Giunti sopra la rocca seguiamo le tracce verso un pertugio dove ci caliamo aggrappati ad una fune appoggiando i piedi su dei pioli di legno conficcati sulle pareti del buco.  Come ragazzetti eccitati in esplorazione di un territorio sconosciuto, uno alla volta ci addentriamo all'interno di una piccola grotta di meditazione. 

Ciotole di terracotta sparse qua e là ricolme di burro di yak su cui ardono tante candele rischiarano altarini, piccole statue del Buddha e alcuni volti assorbiti in preghiera. Siamo nelle viscere della Grande Madre in un momento di commovente intimità in cui ognuno si raccoglie nel proprio Sè.

Nuovamente fuori all'aria pungente e secca, i nostri sguardi irradiano come stelle. Camminiamo in silenzio e in ascolto, totalmente assorbiti nella gioia, tra le rovine del Monastero. Vicino la grande ruota di preghiera, scorgo un vecchio monaco seduto in meditazione, l'ultimo monaco rimasto a custodire il Tempio di Rongbuk. Con le mani giunte all'altezza del cuore ci scambiamo sorrisi di gioia e comunione. 

Le mille e più bandierine colorate di preghiera svettano da un picco all'altro su diversi pendii. L'immenso ci avvolge e io ne sono un'infinitesima  parte.


Everest o Qomolangma


tenda n.33, la nostra ospite ci prepara
una calda zuppa di carne di yak e nuddle








All'interno della tenda tibetana la nostra guida
Tommasi Giuseppe


Amici di viaggio e condivisione


Coperte per la notte


Rudere del vecchio Monastero di Rongbuk


Camminando tra le rovine del Tempio



L'ultimo monaco custode del Tempio


La stanza del monaco al vecchio Monastero di Rongbuk




Pietre sormontate in segno di devozione
alla Grande Madre


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